Il remote working è una pratica che ci accompagna da tempo: alcuni di noi surfer – così ci piace chiamarci – lavorano da remoto cinque giorni su cinque, altri alternano la presenza in ufficio al lavoro in coworking o da casa.
Il percorso che ci ha portato fin qui
Per Flowing, il remote working è una pratica che abilita il nostro modello organizzativo e le opportunità che vogliamo cogliere. Proprio perché è una pratica, è qualcosa che ha senso adottare (e che viene adottata in modo proficuo) se c’è un disegno a monte.
Oggi, guardando un po’ indietro nel tempo, l’attitudine a lavorare remoti ha preso vita gradualmente, anche facendo esperimenti da cui prendere man mano dei feedback che ci hanno aiutato a rodare la nostra modalità di lavorare a distanza e a migliorarla nel tempo.
E, quindi, da dove nasce l’esigenza e il desiderio di essere remote?
Tutto parte dagli approcci e dalle metodologie che abbiamo fatto nostre da tempo, agile e lean in primis, insieme a Management 3.0.
Definire gli obiettivi prima delle attività, saper delegare in modo chiaro, allinearsi sullo stato avanzamento, farlo con fiducia: senza queste premesse non avremmo potuto pensare di lavorare bene da remoto.
Contaminarci con le realtà con cui lavoriamo e discuterne internamente ha fatto il resto, per iniziare a sperimentare e allenarci al remote.
Quali sono le opportunità da cogliere?
All’inizio abbiamo percepito subito gli effetti sulle singole persone che lo praticano, quelli stra-noti del remote working sulla vita extralavorativa (tagliare i tempi degli spostamenti tra casa e ufficio, più tempo per sé, ecc…), per poi iniziare a cavalcare i vantaggi sistemici:
– le persone lavorano meglio, di riflesso ne beneficiano anche i loro outcome;
– possiamo assumere persone senza vincoli geografici: questo ci permette di “non accontentarci” e di attrarre talenti a prescindere da dove vivano.
La sfida che rimane costante è allenare la capacità di comunicare e collaborare su progetti complessi, ogni volta diversi. Ma dopo diverso tempo di shu-ha-ri dedicato al remote, ti puoi anche permettere di organizzarti per lavorare e divertirti a Las Palmas
A farla filosofica, utilizzare il principio di reciprocità, “perdere il controllo” sui dipendenti dando autonomia (anche nella scelta del luogo da cui lavorare) genera effetti positivi – il cosiddetto rapporto win-win – se hai una buona cultura organizzativa a supporto.
Se avessimo guardato solo al costo iniziale di introduzione di questa pratica, (perché un costo c’è stato: tempo da dedicare a formarsi e attrezzarsi, esperimenti di rodaggio, confronti per allinearci) e non al valore e alle opportunità che porta all’azienda, ci saremmo fermati un passo prima dal creare questa condizione proficua per tutti noi …e nello scoprire poi dove questa pratica ci avrebbe portati.
Oltre ai vantaggi e opportunità dette prima, oggi il coaching che facciamo ai nostri clienti per lo sviluppo e organizzazione dei team ha nella cassetta degli attrezzi anche le buone pratiche per lavorare efficacemente da remoto.
Filosofico, dicevo. A guardar bene non tanto, di risvolti concreti, apprezzabili e monetizzabili ce ne sono diversi. E ora più che mai tangibili visto l’impatto enorme e forzoso dell’emergenza attuale.
Cosa serve per fare remote working?
In fase di onboarding, i surfer hanno in dotazione un kit che gli consente di lavorare da dove vogliono: portatile e cuffie, entrambi di ultima generazione.
Poi ci sono i tool:
- Slack, per comunicare tra noi e con i nostri clienti. Abbiamo organizzato il nostro account creando canali dedicati sia a discussioni interne all’azienda (planning, ferie e permessi, confronti tra team,…) che a progetti a cui lavoriamo; con alcuni clienti abbiamo canali condivisi, che utilizziamo per standup meeting, iteration review e planning, oltre a confronti ogni volta che ne abbiamo bisogno.
- Zoom, per videoconferenze che hanno bisogno di essere moderate e registrate, per permettere a chi non è presente di aggiornarsi.
- Google, dalle mail alla condivisione di documenti e calendar.
Perché tutto funzioni, gli strumenti vanno utilizzati nel modo giusto. E qui torniamo all’approccio, ecco alcune buone pratiche:
- attivare le webcam quando si fanno le call, per comprendere e usare anche il paraverbale oltre che le parole;
- periodicamente fare un recap per chi non ha partecipato al lavoro in sincrono, è utile quando si lavora sia in modalità sincrona che asincrona;
- tenere il proprio Calendar aggiornato e condiviso, per fissare in autonomia le call con gli altri;
- definire e condividere l’architettura delle informazioni con cui organizzare i documenti;
- creare una knowledge base per faq o buone pratiche. Per questo scopo, utilizziamo Nuclino: ogni area (dall’Amministrazione, al Commerciale, al Marketing alla Produzione) ha il proprio focus ma lavora in stretta relazione con le altre. Per noi è il posto giusto dove trovare – ad esempio – materiale per la formazione, le procedure per gestire i rimborsi spese piuttosto che le ultime foto del nostro team, tutto debitamente organizzato.
L’importanza del (qui e) ora
Oltre alla cultura organizzativa e agli strumenti, ciò che abilita la nostra macchina invisibile del remote working sono i riti condivisi. Quelli plenari che organizziamo (in questo momento) sono:
- il planning del lunedì mattina, in cui il focus è la distribuzione dell’effort sui vari progetti;
- il lean coffee, due ore l’ultimo venerdì del mese: un momento dedicato alle cose su cui sentiamo il bisogno di confrontarci con gli altri;
- il revision organizzato ogni sei mesi: è l’unico rito dove è richiesta la presenza fisica di tutto il team. Sono due giornate dedicate totalmente a Flowing, per rivedere e discutere temi e aspetti che ruotano attorno alla nostra vision.
A questi si sommano altri rituali dove ogni team – di progetto o di area – si confronta per tenersi allineato.
What’s next?
il 2019 si è concluso per noi con un nuovo obiettivo: diventare full remote nel 2020. Questo significherà chiudere le due sedi storiche di extrategy e ideato, aziende da cui a inizi 2019 è nata Flowing, per spostare la nuova sede in una nuova zona con un nuovo concept (stay tuned!). Un passo ulteriore verso la nostra identità, che incentiverà ancor di più essere remote first.
A che punto siamo?
Stiamo facendo interviste ai surfer per conoscere pain e gain rispetto a questa scelta, per poi disegnare la miglior soluzione implementativa del nostro essere remoti.
Photo by Domenico Loia on Unsplash